Vi ricordate i quattro capponi che Renzo porta all'Azzeccagarbugli? Le povere bestie spaventate si beccano tra loro "come accade troppo sovente tra compagni di sventura”.
Il conflitto di classe si esplicita oggi nel tentativo di distrarre e dividere la base (il 99% della popolazione) per depotenziarla. Siamo proprio come quei quattro capponi: a testa in giù ci
becchiamo tra di noi con violenza mentre dovremmo unire le forze, superare le diseguaglienze e questa assurda guerra tra poveri, per concentrare le nostre energie contro il "nemico" comune: quell'1%
che se la ride e governa da dietro le quinte.
Marcello Foa, wikipedia e fake news: come si distrugge la reputazione di un giornalista scomodo
Il 28 luglio alle 16:37 (cioè
soltanto sabato, “casualmente” nel pieno della discussione per la sua nomina alla presidenza RAI!) è stata modificata la pagina wikipedia di Marcello Foa aggiungendo la sezione “Controversie” (prima
inesistente, basta controllare la cronologia) in cui viene denigrato come un “complottista” per aver sostenuto l’esistenza di false flag, per aver criticato il decreto Lorenzin e per aver parlato
della teoria gender (che viene liquidata come una “teoria del complotto nata nell’ambito ecclesiastico negli anni ’90”). Ergo gli “studi di genere” per coloro che hanno modificato il profilo
wikipedia di Foa NON solo non esistono ma sono becero cospirazionismo. Ditelo al National Geographic che ci ha dedicato una copertina, ditelo a tutti quei docenti che sono stati insigniti di una
cattedra sul tema, ditelo ai produttori di trasmissioni, reality, serie TV e film che ne parlano!
Un grande nome viene in queste ore
infangato perché ha osato esprimere posizioni al di fuori del pensiero unico dominante. Ma non dovrebbe essere anche questo il ruolo di un grande giornalista, ossia quello di “scavare” e portare al
grande pubblico tematiche che i potenti vogliono tenere nascoste?
Ho la fortuna di conoscere
personalmente Foa da qualche anno. Ci siamo incontrati a una riunione per il WAC (Web Activists Community) a Roma nello studio di Giulietto Chiesa quando scesi in rappresentanza della UNO Editori per
discutere del progetto. Ovviamente lo conoscevo già di fama, lo avevo spesso citato nelle mie opere, a partire dal mio libro inchiesta su Renzi. Lo avevo sentito telefonicamente ma non lo avevo mai
incontrato di persona. Mi sono trovata davanti un uomo gentilissimo, tanto umile quando disponibile, dotato di carisma e di ironia (dote rara), mentalmente elastico e al contempo metodico. Da quel
momento ho potuto soltanto rafforzare la stima che ho di lui.
Mi rammarica ora assistere a
un’ondata pretestuosa di violenza mediatica contro Foa.
L’attuale campagna
denigratoria che si è scatenata in queste ore intende trasformare Foa nell’esatto contrario di ciò che è: un serio, leale e onesto giornalista. Si vuole cioè screditarlo, additarlo come un venditore di fumo, un arrivista un ambizioso, persino un fascista (lui che è ebreo!)
spulciando nei suoi vecchi post di Twitter o di Facebook, come se la carriera o l’onestà di un professionista si dimostrasse da alcuni post decontestualizzati. Quello che stanno scrivendo? Nulla di
più lontano dalla verità.
Vi era già stata nelle precedenti
settimana un’inchiesta dell’Espresso a cui era seguita la querela di Foa. Ora le testate giornalistiche progressiste si scatenano seguendo lo stesso topos: è un sovranista (e allora? Meglio coloro
che hanno svenduto il nostro Paese alla tecnocrazia europeista?), un populista, è filo-russo, diffonde fake news. Ebbene, per me questo non è giornalismo, è gossip. Qualunque testata può scrivere
qualunque cosa di chiunque citando fonti non pervenute o distorcendo dei post, perché è evidente dalla lettura approfondita degli alrticoli che chi scrive o non conosce Foa o è in malafede.
Nell’epoca del politicamente corretto, la violenza dei guardiani del pensiero unico si abbatte come una furia su coloro che osano dissentire.
Quello che ovviamente si
vuole fare è creare un frame, una cornice negativa in cui inserire l’immagine di Foa in modo da offrire all’opinione pubblica un’immagine distorta, falsa, dell’uomo e del professionista che
è.
Il riflesso del bipensiero orwelliano
è concentrato però nella seguente accusa: lo definiscono ora lo “spin doctor” di Salvini, quando − paradossalmente − è stato proprio Foa a sdoganare al grande pubblico il fenomeno dello spin,
spiegando e documentando in maniera magistrale come il potere orienta e all’occorrenza manipola l’informazione, servendosi anche dei media di massa. Quello che in origine era uno stato
d’accusa documentato da anni di ricerche, si è rivolto contro di lui rendendolo mediaticamente “colpevole” di ciò che da anni condanna. E ora, come forma di contrappasso, lo spin si è rivolto contro
di lui denigrandolo.
Nel suo Gli stregoni della
notizia. Atto II, Foa documentava il fenomeno dello spin e mostrava persino come esistano società private che si occupano di confezionare materiale giornalistico ad hoc. Si
tratta cioè di spin privati che vengono ingaggiati anche dai governi in segreto – Foa riporta ampi esempi di società assoldate dal governo statunitense − per rendere efficace e persuasiva una
campagna, anche ricorrendo a menzogne e falsificazione per di raggiungere l’obiettivo desiderato. Sì: falsificazione. False notizie come quelle che circolano in questi giorni sui media di massa,
volte a terrorizzare l’opinione pubblica e a screditare il candidato alla presidenza RAI.
Bisognerebbe invece ricordare a
coloro che passivi si bevono queste menzogne, che l’ex presidente RAI, Monica Maggioni, è alla guida della Trilaterale Italia. Ricordo che la Commissione Trilaterale è un
gruppo di studio non governativo con sede a New York, fondato tra il luglio 1972 e il 1973 per iniziativa di David Rockefeller, Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski. Conta più di trecento membri
(uomini d’affari, politici, intellettuali) provenienti dall’Europa, dal Giappone e dall’America settentrionale. A tutt’oggi le riunioni sono dei vertici a porte chiuse di altro
profilo.
Quello che i membri della Trilateral
vogliono è creare un potere economico mondiale superiore a quello politico dei singoli governi nazionali. Il fine era ed è tuttora una costante collaborazione tra le élite dominanti dell’Europa
occidentale, del Giappone e degli Stati Uniti, e a coordinare le loro politiche nelle tre principali sfere di influenza
La Trilaterale (come il Club
Bilderberg) si preoccupa che la gente possa ribellarsi ai suoi progetti e quindi necessita della stampa per manipolare l’opinione pubblica e creare un adeguato “stato di spirito”: in passato propose
anche limitazioni alla libertà di stampa nel senso di «restrizioni di quello che i giornali possono pubblicare in particolari e delicate circostanze». L’idea di fondo, espressa nel libro La Crisi della democrazia pubblicato a firma di Crozier, Huntighton e Watanuki nel 1975, è
come già spiegava Paolo Barnard, di “uccidere” la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendone in vita solo l’involucro. Si vuole cioè svuotare da un lato le nazioni del proprio potere e della
propria sovranità (ecco perché ora la parola “sovranista” fa così paura), facendo diventare dall’altro tutti noi dei soggetti passivi degli eventi, dei meri spettatori/lavoratori/consumatori.
I media servono cioè ad annientarci come protagonisti della democrazia, distraendoci con notizie inutili, terrorizzandoci di continuo o saturandoci con lo show
spazzatura.
Un giornalista, degno del suo
nome, dovrebbe ricoprire invece anche una funzione sociale, etica, civile. Ha una responsabilità. Non
deve plasmare l’opinione pubblica al soldo dei lobbisti. Foa al contrario di molti suoi “colleghi” che ora lo attaccano ha la schiena dritta e denuncia da anni la manipolazione e il controllo sociale
a danno dei cittadini.
I media che oggi lo attaccano
stanno facendo il gioco di un potere incancrenito che teme l’ondata di rivoluzione che sta soffiando in Italia. Alcuni parassiti temono evidentemente di vedersi soffiare la linfa vitale da cui
traggono da anni il sostentamento.
Non so se questa ondata si fermerà
qui, se porterà a una débâcle o a veri e stabili cambiamenti.
So però che Marcello Foa può
apportare pluralismo, rigore e spessore intellettuale al servizio pubblico televisivo, sempre che mercoledì mattina la Commissione di Vigilanza che dovrà ratificare o meno la sua nomina, riesca a
compattarsi su almeno 27 voti. La maggioranza ne ha solo 21 e dunque i voti di Forza Italia diventano decisivi.
Tutto il resto è
propaganda.
da:
https://unoeditori.com/blog/marcello-foa-wikipedia-e-fake-news-come-si-distrugge-la-reputazione-di-un-giornalista-scomodo-n228
E' così che si distrugge la reputazione di un giornalista scomodo: il 28 luglio alle 16:37 (cioè soltanto ieri, "casualmente" nel pieno della discussione per la sua nomina alla presidenza RAI!) è
stata modificata la pagina wikipedia di Marcello Foa aggiungendo la sezione "Controversie" (prima inesistente, basta controllare la
cronologia che riporto qui sotto) in cui viene denigrato come un "complottista" per aver sostenuto l'esistenza di false flag e per aver parlato della teoria gender (che viene liquidata come una
"teoria del complotto nata nell'ambito ecclesiastico negli anni '90"). Ergo gli "studi di genere" per coloro che hanno modificato il profilo wikipedia di Foa NON solo non esistono ma sono becero
cospirazionismo. Ditelo al National Geographic che ci ha dedicato una copertina, ditelo a tutti quei docenti che sono stati insigniti di una cattedra sul tema, ditelo ai produttori di trasmissioni,
reality, serie TV e film che ne parlano!
Un grande nome viene in queste ore infangato perché ha osato esprimere posizioni al di fuori del pensiero unico dominante. Ma non dovrebbe essere anche questo il ruolo di un grande giornalista, ossia
quello di "scavare" e portare al grande pubblico tematiche che i potenti vogliono tenere nascoste?
Il pensiero critico e l'informazione alternativa ai media mainstream oggi vengono perseguitati per silenziare il dissenso.
Non sono questi i metodi dei sistemi totalitari che si ammantano di slogan politicamente corretti e perseguitano con violenza chi non si piega ai loro diktat?
State attenti a chi non vuole che esprimiate la vostra coscienza critica ma che vi vuole passivi alla sua volontà; ne vale del vostro e del nostro futuro.
In questi giorni in cui si consuma una ignobile campagna diffamatoria dai toni sempre più violenti contro Marcello Foa, bisognerebbe ricordare a coloro che passivi si bevono e condividono queste
menzogne, che l’ex presidente RAI, Monica Maggioni, è alla guida della Trilaterale Italia. Ricordo che la Commissione Trilaterale è un gruppo di studio non governativo con sede a New York, fondato
tra il luglio 1972 e il 1973 per iniziativa di David Rockefeller, Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski. Conta più di trecento membri (uomini d’affari, politici, intellettuali) provenienti
dall’Europa, dal Giappone e dall’America settentrionale. A tutt’oggi le riunioni sono dei vertici a porte chiuse di altro profilo.
L’idea di fondo, espressa nel libro "La Crisi della democrazia" pubblicato a firma di Crozier, Huntigton e Watanuki nel 1975, è svuotare da un lato le nazioni della propria sovranità (ecco perché ora
la parola “sovranità” fa così paura), facendo diventare dall’altro tutti noi dei soggetti passivi degli eventi, dei meri spettatori/lavoratori/consumatori. I media servono cioè ad annientarci come
protagonisti della democrazia, distraendoci con notizie inutili, terrorizzandoci di continuo o saturandoci con lo show spazzatura (ve lo ricordate il decalogo pseudo-Chomsky?).
Siamo nel 2022. La Terra è devastata
dall’inquinamento e dalla sovrappopolazione. La vegetazione non esiste quasi più e il clima è torrido. New York è un formicaio di fatiscenti palazzi di cemento in cui sono pressati 40 milioni di
abitanti. La situazione è drammatica: la società è in completa rovina. La disoccupazione è dilagante, il crimine in costante aumento.
Allo scopo di alleviare il problema
della sovrappopolazione il governo ha da tempo legalizzato il suicidio assistito: a questo scopo sono stati creati i Templi, luoghi dove la gente può recarsi a morire in un ambiente confortevole. I
corpi vengono poi smaltiti fuori città…
La diseguaglianza sociale è
drammatica: la società è divisa tra ricchi e poveri. Acqua e cibo sono infatti razionati. I poveri devono nutrirsi del Soylent verde (la parola è la contrazione tra "soy beans" e "lentis": semi di
soia e lenticchie), mentre i ricchi possono ancora assaporare i sempre più introvabili cibi genuini. La carne, più unica che rara, è venduta a prezzi proibitivi.
Il cibo è infatti il problema
maggiore dell’umanità. L’unica risorsa rimasta solo le gallette nutritive del Soylent verde. La pubblicità afferma che il plancton è la materia prima del Soylent verde, l’ultimo prodotto della ditta
Soylent.
Il protagonista è un poliziotto,
Thorn, che scoprirà a sue spese che quelle gallette che dovrebbero servire per sfamare tutta la popolazione, sono in realtà composte con i cadaveri umani… La Soylent esaurita la scorta di plancton confeziona infatti il cibo con la carne dei cadaveri.
È la trama del film distopico di
Richard Fleischer 2022: i sopravvissuti, interpretato da Charlton Heston. Uscito nelle sale nel 1973, è tratto liberamente dal romanzo distopico di Harry Harrison, Largo! Largo! del 1966 (il romanzo
si ambienta nel 1999).
Perché parlo di queste due opere?
Perché diversi amici su FB mi hanno fatto notare una straordinaria somiglianza con una notizia che avevo commentato…
Nel film, infatti, nella “Casa
dell'ultimo riposo” la morte viene somministrata con dolcezza al vecchio amico del protagonista, Sol, accompagnata dalle serene immagini di una natura idilliaca e da un sottofondo di musica classica:
Le immagini bucoliche e rassicuranti nascondono il fatto che il cannibalismo è l’ultimo strumento necessario per mantenere in equilibrio un mondo ormai in rovina (riprendendo così la tematica di
fondo de "La macchina del Tempo" di H.G. Wells in cui i dolci e pacifici Eloi, fruttariani, sono cibo per i Morlock che li "allevano" come carne da allevamento).
Ad Amsterdam il dr. Philip Nitschke
ha presentato “Sarco”. Aspetto futuristico, linee eleganti, si tratta di una macchina per il suicidio domestico: secondo l’inventore il trapasso potrebbe diventare un’esperienza euforica. Un modo per
rendere l’eutanasia “glamour” ed ecocompatibile... Sarco, è stampato in 3D e composto da una capsula/bara removibile e da un collegamento a un contenitore di azoto. La parte superiore della capsula
può essere utilizzata come bara biodegradabile: la macchina può così essere riutilizzata da un altro utente. Il costo è di circa mille euro. L’economicità del macchinario potrebbe renderlo
accessibile a molti...
Coloro che desiderano capirne il
funzionamento hanno potuto provare l'uso di occhiali per la realtà virtuale proiettanti immagini rilassanti di mare o monti: alla pressione del bottone per il suicidio le immagini rasserenanti si
trasformano in una macchia nera che dovrebbe rappresentare la morte.
A chi sarebbe
rivolto?
Chi deciderà di togliersi la vita
dovrà compilare un test online per accertare il pieno possesso delle facoltà mentali. L’esito positivo del test darà quindi diritto a un codice d’accesso da inserire nel macchinario: a quel punto ed
entro 24 ore, l'utente potrà entrare nella capsula, chiudere il portello e, infine, schiacciare il bottone per il comando del rilascio dell’azoto. La morte, secondo Nitschke, sopraggiungerà in circa
un minuto, subito dopo la perdita di coscienza.
Ora, i commenti potrebbero essere
molti. Non è la prima volta che parlo di eutanasia, avevamo già trattato della questione della Kill Pill e del processo di accelerazione per l’introduzione della dolce morte in
Europa.
Mi si consenta un’osservazione
personale: è paradossale come si voglia accelerare l’eutanasia facendo leva sull’autodeterminazione. Si vogliono convincere le masse che si è liberi di morire (anche quando NON si è terminali o
afflitti da patologie invalidanti) in modo rapido ed economico quando, però, non si è liberi di autodeterminarsi nelle cure. Non si è cioè liberi di scegliere cure alternative ad esempio in campo
oncologico o di dubitare che 10 vaccini obbligatori, forse, possono essere troppi per i propri figli. Il turbamento non è contemplato, nemmeno il pensiero critico, tantomeno il
dissenso.
Se siamo liberi di
autoautodeterminarci, perché non ci è concesso di decidere della nostra salute e di quella dei nostri figli? Dove finisce (se inizia) la nostra libertà? Dobbiamo vivere e morire secondo le logiche
del potere quando avremo finito di essere utili e produttivi, quando saremo depressi o anziani? Possiamo scegliere quando porre fine alla nostra esistenza ma NON come vivere ed eventualmente
curarci?
In Occidente vige ormai la cultura
della morte e la reificazione dell’individuo (pensiamo alla maternità surrogata) mentre la cultura della vita (prevenzione, alimentazione, ricerca di equilibrio, ecc.) è sempre più osteggiata perché
permetterebbe all’uomo di vivere finalmente sano, sereno e sì… davvero libero.
L’ONU si schiera contro le eccellenze enogastronomiche italiane accusandole di essere pericolose come le sigarette: all’ipotesi un’etichetta speciale per ridurre grassi e sale su cibi come il
Prosciutto di Parma e il Parmigiano reggiano, pizza, vino e olio extravergine (si temono anche tassazioni). Le proposte saranno discusse il 27 settembre a New York. A pranzo i relatori si troveranno
a bere Coca light e a mangiare hamburger con carne sintetica e contorno di verdure OGM per preservare la propria salute da grassi, zuccheri e sale?
Senza contare i molteplici attacchi alle nostre eccellenze e alla nostra cultura, mi sembra che si stia “spingendo” per l’assunzione di alimenti alternativi, quasi si prefigurasse per il nostro
futuro una divisione in caste tra i poveri costretti a mangiare insetti, frutta e verdura (che ovviamente saranno OGM, mica biologici!) e i sempre più ricchi a cui nulla sarà interdetto, tantomeno la
carne che sarà appunto un lusso per pochi eletti, come spiegavo in questo articolo per Interesse Nazionale:
https://www.interessenazionale.net/blog/insetti-e-ogm-cibo-del-futuro-secondo-padroni-del-mondo
Insetti e ogm: il cibo del futuro secondo i padroni del mondo
pubblicato il 02 Novembre 2017
«La frutta era l’unico elemento della loro dieta. Quegli esseri del futuro erano vegetariani rigorosi, e per tutto il tempo che rimasi con loro, pur desiderando un pezzo di carne, fui
frugivoro anch’io».
È l’anno 802.701. Il Viaggiatore del Tempo ha appena incontrato una delle due razze che popolano il futuro della Terra: si tratta degli Eloi, creature bellissime, fragili, pacifiche, piccole di
statura come bambini, dalla pelle color porcellana e simili tra loro anche nel sesso. Conducono una vita di puro divertimento e sono dotati di scarsa immaginazione e intelletto.
Si tratta di una citazione de La macchina del tempo, uno dei racconti più celebri di H.G. Wells, pubblicato per la prima volta nel 1895. Nell’Inghilterra di fine Ottocento, uno scienziato
racconta ai suoi più stretti amici di aver trovato il modo di viaggiare nel tempo, ma non viene creduto. Otto giorni dopo, durante una cena a casa sua, il protagonista ricompare in uno stato
alterato, i vestiti in disordine e il volto spettrale: racconterà davanti a una platea sbigottita, di aver viaggiato avanti e indietro nel tempo fino a raggiungere l’anno 802.701, periodo in cui
l’umanità è divisa in due tronconi differenti: gli Eloi, appunto, e i Morlock, esseri mostruosi che vivono nelle viscere della terra. Costoro escono la notte per cibarsi delle carni degli Eloi, da
loro accuditi e allevati come bestie da macello. Se gli Eloi sono fruttariani, i Morlock non solo sono carnivori ma si cibano addirittura della carne dei fragili Eloi.
Gli Eloi di Wells prefigurano alcune caratteristiche che ritroveremo nel capolavoro distopico di Aldous Huxley, Il mondo nuovo. Gli abitanti del futuro (un futuro remoto in Wells, più
vicino a noi in Huxley) sono creature pacifiche che vivono in apparenza in una società perfetta e felice. Gli Eloi però sono il cibo dei Morlock, così come gli abitanti del mondo nuovo di
Huxley sono creature create in laboratorio e manipolate fin dalla nascita: sono cioè “cavie” per il potere, distratte dai problemi della vita tramite la saturazione del piacere. Non vengono
“mangiati” come gli Eloi, ma è la loro “anima”, la loro capacità intellettiva e artistica a essere stata annullata dai governanti. Viene da citare, seppur impropriamente, Charles Fort quando scrisse
“The Earth is a farm. We are someone else’s property”.
Queste due opere hanno anche prefigurato molte tematiche ora più che mai attuali che ho approfondito ampiamente in altre sedi con Gianluca Marletta (Governo Globale, La fabbrica della
manipolazione, Unisex). Tornando alla citazione iniziale, è però interessante notare come l’attuale moda “vegetariana” e “vegana” abbia preso una deriva bizzarra, arrivando ad accettare
di introdurre sulle nostre tavole carne e pesce artificiale (in linea con l’orizzonte post-umano del Transumanesimo che si pone come dottrina “spirituale” del mondialismo) oppure una dieta che
accolga nei nostri piatti anche gli insetti, ossia l’entomofagia.
Premesso che sono vegetariana da 21 anni e che dunque non è mia intenzione “giudicare” regimi dietetici alternativi, mi sembra però che si stia “spingendo” per l’assunzione di alimenti
alternativi, quasi si prefigurasse per il nostro futuro una divisione in caste tra i poveri costretti a mangiare insetti, frutta e verdura (che ovviamente saranno OGM, mica biologici!) e i sempre più
ricchi a cui nulla sarà interdetto, tantomeno la carne che sarà appunto un lusso per pochi eletti.
Mi sembra che oltre al mantra buonista e politicamente corretto del Love is Love (che dal poliamore arriverà presto a battersi per la legalizzazione della pedofilia), si stia andando di
pari passo verso la sponsorizzazione di una moda culturale hippie-chic-newaggiarola che impone come modello per l’uomo del futuro un pacifista a tempo determinato (cioè buono e amorevole solo
nei confronti di coloro che sono come lui, per gli altri nessuna pietà), empatico a intermittenza, irrazionale, incapace di pensiero critico (sarà ormai schiavo del bipensiero orwelliano) e di
assumersi le proprie responsabilità. Insomma, un bambino o al massimo un perenne adolescente emotivo, vittima delle mode inculcate dalla propaganda e intrappolato nella visione
estetico-dongiovannesca dell’esistenza.
La teoria della gradualità, declinata nel Principio della Rana Bollita di Noam Chomksy o nella Finestra di Overton, sembra ora voler sdoganare nell’opinione pubblica occidentale anche
l’introduzione di insetti sulle nostre tavole. Nascono così start-up che si occupano di creare cibi a base di farina di grilli o di altri insetti commestibili che presto saranno disponibili anche in
Italia.
La FAO ha lanciato da alcuni anni il programma Edible insects per promuovere la diffusione dell’entomofagia, già seguita da circa 2 miliardi di persone nel mondo, principalmente in Asia,
Africa e America Centrale. Ciò avviene in base alle stime di sovrappopolazione che vedono la Terra, nell’anno 2050, popolata da circa 9 miliardi di persone. Gli insetti, pertanto, potrebbero
diventare una “necessaria” fonte di cibo, sia per la loro ricchezza nutrizionale sia per il minor impatto ambientale del loro allevamento.
Per ovviare al problema della sovrappopolazione rientra anche la produzione di carne e pesce artificiali, prodotti cioè in laboratorio. L’obiettivo, in apparenza “legittimo”, sarebbe anche in
questo caso, quello di risparmiare al pianeta lo sfruttamento delle risorse ambientali.
Ma è proprio questo lo scopo? Il “progresso” legittima tutto ciò che è “sintetico” e dall’altra rimodella la società in due macro caste metaforicamente simili agli Eloi e ai Morloch. Forse i
ricchi del futuro non mangeranno fisicamente i più poveri, ma costoro rappresenteranno per loro “carne da macello”, come lo siamo ora per i governanti. E come lo siamo sempre stati. Manodopera da
sfruttare, sorvegliare e controllare.
Torniamo a La macchina del tempo e al Mondo nuovo.
Si tratta in apparenza di due romanzi, uno fantascientifico, l’altro “distopico”. Eppure hanno molto in comune se non fosse per gli interessi e il legame tra i due romanzieri. Entrambi si
inseriscono infatti nell’alveo mondialista britannico di quegli anni, fervidi sostenitori del dogma evoluzionistico, dell’eugenetica e del mondialismo, appassionati critici del problema della
sovrappopolazione e quindi neomalthusiani.
H.G. Wells era Socio della Fabian Society (come entrambi i fratelli Huxley) e del Coefficent Club, già allievo dello zio di Aldous, il biologo darwinista Thomas Huxley, amico e collega del
fratello di Aldous, Julian, con cui aveva collaborato alla stesura nel 1927 The Science of Life. Il saggio proponeva il tema dell’evoluzione come fondamento dell’etica di quello Stato
mondiale a cui Wells avrebbe dedicato il lavoro negli ultimi anni della sua vita. Wells, nel 1928 pubblicò, ricorda Enzo Pennetta in Inchiesta sul darwinismo, «un libro intitolato The
Open Conspiracy, in cui manifestò il proprio ideale di un mondo unificato sotto l’egemonia anglosassone e ispirato agli ideali socio economici della Fabian Society».
Nella raccolta Idee per un nuovo umanesimo (1961), premesso che «la nuova organizzazione del pensiero deve essere globale», Julian Huxley precisava che «la religione del prossimo futuro
potrebbe essere una buona cosa. Crederà nella conoscenza», conciliando così il neodarwinismo e la filosofia positiva di Comte. Infatti, concludeva, «la religione può essere utilmente considerata
ecologia spirituale applicata». L’Umanesimo promosso infatti da pensatori come Wells e i fratelli Huxley ha dato vita a un’ideologia ibrida che unisce eugenetica, malthusianesimo, denatalismo,
socialismo e una spiccata attenzione per le scienze e il controllo sociale.
Da lì a pochi anni il nazismo avrebbe mostrato al mondo quali rischi implicava l’eugenetica, ma i suoi princìpi base sarebbero sopravvissuti al crollo del Terzo Reich e sarebbero confluiti in
organizzazioni di stampo mondialista come l’UNESCO, fondata nel novembre del 1945. Julian Huxley, sostenitore di svariati metodi di “selezione” della specie, ne sarebbe stato nominato primo
direttore.
Il cerchio così si chiude, lasciando intravedere il “filo conduttore” che anima ideologicamente molte fra le scelte sociali, culturali e politiche degli anni che stiamo vivendo. E su cui forse
dovremmo riflettere… per non fare la fine degli Eloi.
«I robot uccideranno un sacco di posti di lavoro, perché in futuro queste mansioni verranno svolte dalle macchine». L’allarme viene da Davos, dove Jack Ma, fondatore e principale
azionista del sito di commercio on line Alibaba, ha denunciato il fatto che l’Intelligenza Artificiale è una “minaccia” per gli esseri umani e che presto i robot cancelleranno milioni di posti di
lavoro, «perché in futuro queste mansioni verranno svolte dalle macchine». Macchine che, a differenza dei lavoratori umani, non devono essere pagate, non soffrono la stanchezza, la fame o la
depressione.
Si tratta dell’ennesimo allarme sui pericoli dell’automazione che proviene da un uomo d’affari e pioniere nel campo delle nuove tecnologie: Ma, come molti nomi illustri prima di lui, si è detto
preoccupato per il futuro dell’umanità. «La tecnologia», ha spiegato, «dovrebbe sempre fare qualcosa per potenziare le capacità della gente, non diminuirle».
Le parole di Ma risuonano in tutto il mondo negli stessi giorni in cui è scoppiata la polemica riguardante il braccialetto elettronico in grado di monitorare i movimenti dei dipendenti e di
controllarne la produttività brevettato da Amazon nel 2016 ma riconosciuto ufficialmente soltanto la scorsa settimana. La multinazionale di Jeff Bezos si è difesa dalle accese polemiche e ha risposto
al clamore suscitato parlando di “speculazioni” e sostenendo che «la sicurezza e il benessere dei dipendenti sono la nostra priorità».
Per chi volesse approfondire la questione rimando al libro inchiesta di Jean-Baptiste Malet En Amazonie, dove il giornalista racconta la sua esperienza di “infiltrato” come lavoratore
interinale all’interno di un magazzino francese di Amazon per circa un mese, testimoniando i ritmi di lavoro frenetici e massacranti, le pause cronometrate, un sistema di controllo che esaspera la
competitività tra gli stessi lavoratori, ecc. Situazioni che si possono ritrovare in molti altri posti di lavoro, dove le condizioni dei dipendenti sono a dir poco alienanti.
Sempre più spesso sentiamo parlare della stretta sul controllo elettronico, di “innovazioni tecnologiche” per rendere i processi produttivi più semplici ed efficaci che si rivelano però, a uno
sguardo più attento dei mezzi per de-umanizzare il lavoro e schiavizzare i dipendenti. Si tratta di una nuova forma di “capolarato digitale” che, grazie al controllo sempre più pervasivo, sta
rendendo i lavoratori degli “uomini di vetro”, trasparenti e sotto costante sorveglianza. Ciò non può che causare ulteriore stress, competitività e depressione nei dipendenti registrando preoccupanti
ripercussioni nell’intero tessuto sociale.
Riccardo Staglianò nel suo libro Al posto tuo, parla di “disboscamento dagli umani” in quanto il supercapitalismo digitale, in particolare in settori come la logistica, non solo
ha «assunto magazzinieri, pagandoli poco e facendoli trottare tanto», ma ora punta alla progressiva sostituzione dei lavoratori umani con le macchine, come confermato oltreoceano dallo
stesso Ma.
Invece di “progredire”, di evolverci e di migliorare non solo la produttività ma anche le condizioni e i diritti dei lavoratori, siamo ripiombati indietro nel tempo, registrando ritmi di lavoro
frenetici, terrorismo psicologico e condizioni al limite della schiavitù.
A ciò si aggiunge la questione del controllo sul luogo di lavoro, tematica di certo non è nuova che ho ampiamente trattato in precedenza nei miei articoli e saggi (si veda:
http://www.interessenazionale.net/blog/tutti-controllati-col-chip-sottopelle). Pensiamo per esempio alla nuova moda di impiantare chip dermali per “comodità”, sui luoghi di lavoro senza minimamente
pensare alle conseguenze sociali del gesto (ho già citato in un precedente articolo il caso della Three Square Market i cui manager avevano proposto ai propri dipendenti l’innesto di un microchip
RFID in grado di contenere tutte le informazioni utili alla vita in azienda e il caso della svedese Epicenter). Già nel 2015 Fincantieri aveva provato a introdurre una modalità simile: nel corso
delle trattative per il rinnovo del contratto integrativo l’azienda avrebbe chiesto di introdurre microchip negli scarponi e negli elmetti degli operai «per implementare la sicurezza» sul
lavoro e conoscere sempre la posizione dei dipendenti. I sindacati intervennero dichiarando inaccettabile la richiesta.
Non è necessario infiltrarsi come Malet in un’azienda per immaginare la situazione di alcuni lavoratori, condannati a lavorare come in un girone infernale. Lavorare male e in modo precario per
guadagnare poco e vivere altrettanto male.
In questa discesa agli inferi, il lavoro prima è stato delocalizzato per abbassare i costi, trasferendo la produzione in Paesi emergenti, dove gli operai costano meno che da noi, poi come effetto
collaterale della delocalizzazione i lavoratori immigrati sono arrivati da noi sperando di guadagnare di più. La miseria con cui venivano pagati gli immigrati è diventata poi il parametro cui
adeguare la nostra paga, livellando così verso il basso tutti i salari. Il lavoro è diventato sempre più disumano e precario.
Ovviamente non è finita. Il passo successivo è la sostituzione dei lavoratori con i robot, come denunciato da Jack Ma. La Terza Rivoluzione Digitale è in atto e Ma invita a «non competere con
le macchine» ma a sviluppare ciò che i robot non possono ancora rubarci: la creatività e lo spirito di collaborazione. Per evitare che lo sviluppo tecnologico ci schiacci è fondamentale mettere
la tecnologia al servizio dell’uomo, invece che contro di esso, migliorando la vita di tutti puntando al benessere collettivo e non alla mera produttività e alla ricchezza di pochi.
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/robot-ci-sostituiranno-dal-controllo-elettronico-al-disboscamento-degli-umani
«La guerra è pace, La libertà è schiavitù, L’ignoranza è forza». Questi sono i tre slogan che campeggiano stampati sulla facciata del palazzo di forma piramidale in cemento bianco in cui si trova
la sede del Ministero della Verità orwelliano: è al suo interno, nell’Archivio, che lavora il protagonista di 1984, Winston Smith. Il Miniver (in neolingua) si occupa dell’informazione e
della propaganda e ha il compito di produrre tutto ciò che riguarda l’informazione: promozione e diffusione dei precetti del partito, editoria, programmi radiotelevisivi, letteratura. Questo ente si
occupa anche della rettifica di questo materiale, in un’opera capillare e costante di riscrizione delle fonti. Il Miniver, cioè, si occupa di falsificare l’informazione e la propaganda per rendere il
materiale diffuso conforme alle direttive e all’ideologia del Socing. Il Grande Fratello, infatti, sottomette le menti dei cittadini tramite il “controllo della realtà”, ossia il bipensiero e niente
deve sfuggire alle maglie del suo dominio onnipervasivo.
Nella società distopica immaginata da Orwell, il controllo è totale in quanto i colleghi di Winston si occupano di falsificare la storia seguendo l’adagio del Partito, «Chi controlla il
passato […] controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato». Le menzogne propinate dai falsificatori vengono imposte dal Partito e acquisite in modo spontaneo e acritico
dalle masse perché «se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera». Questo passaggio di 1984 riecheggia il noto
adagio di Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich: «Se ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte, diventa una realtà». E soprattutto, viene acquisita e
introietta come se fosse sempre stata vera.
Il “controllo della realtà” e la falsificazione costante del passato servono a soggiogare il popolo tenendolo imprigionato in una forma di eterno presente: privo di memoria storica e
senza più la capacità di usare la coscienza critica, l’uomo comune è costretto a crollare di fronte alla dissonanza cognitiva che viene indotta dal Grande Fratello, senza nemmeno accorgersi delle
bugie a cui viene bombardato quotidianamente. Dovrà quindi allinearsi completamente all’Ortodossia, accettare e credere qualunque menzogna come dogma, anche qualora si dica che 2+2 fa 5. Chi non lo
facesse sarebbe immediatamente accusato di psicoreato. Il potere, cioè svuota le menti dei cittadini per riempirle con i propri contenuti, proprio come ripeteva ancora Goebbels «Non basta
sottomettere più o meno pacificamente le masse al nostro regime […] Vogliamo operare affinché dipendano da noi come da una droga».
Tematiche attualissime − come mostro nel mio ultimo libro, Fake News. Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità: come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione
per ottenere il consenso (Arianna Editrice) − in un periodo in cui la caccia alle fake news sta monopolizzando il dibattito pubblico all’interno di una cornice fintamente democratica e le voci
dissonanti sono ancora troppo poche.
L’attuale diatriba sulla fake news ha portato alla promozione di un clima di isteria che potremmo definire una “caccia alle streghe 2.0”. In un pieno rigurgito di maccartismo, dove al posto dei
comunisti oggi vengono perseguitati coloro che non si allineano al pensiero unico, è in atto una campagna che da un lato strumentalizza la violenza e il cyberbullismo dei social e dall’altro, in
piena modalità schizoide, fa uso di questi metodi per attaccare, dileggiare, denigrare e screditare i ricercatori e i giornalisti “alternativi”. Si è partiti con la graduale costituzione di siti atti
allo smascheramento di bufale per finire ad adottare metodi sempre più sofisticati per imbavagliare il web (come se le bufale fossero un’esclusiva della rete e i media mainstream ne fossero
immuni!).
Sia i media mainstream, sia i politici che oggi chiedono misure per la censura del web hanno negli anni divulgato, e continuano a farlo, innumerevoli panzane, menzogne deliberate o fake news (si
pensi per esempio alle famigerate armi di distruzione di massa iraquene poi rivelatesi inesistenti) ricorrendo quindi a sofisticate forme di manipolazione per dirigere il consenso dell’opinione
pubblica. Invece il neo Tribunale dell’Inquisizione si focalizza soltanto sui contenuti della rete, additando anche gli argomenti scomodi come bufale.
Secondo i novelli inquisitori, infatti, fenomeni politici e sociali come Brexit, l’elezione di Trump, la vittoria del NO alla modifica costituzionale in Italia, ecc. sarebbero in realtà il frutto
“scellerato” della diffusione delle bufale on line (se non addirittura dovute all’intervento dei famigerati hacker russi). Per tutelare la “propaganda”, introdurre in modo sempre più strisciante lo
psicoreato e censurare l’opinione pubblica, in Occidente si stanno quindi introducendo leggi o apparati volti a stanare le bufale e a oscurarle, con il rischio (o forse dovremmo dire con l’intento
deliberato) di censurare il web e in particolare l’informazione alternativa.
Anche Facebook, Google e Twitter sono dovuti correre ai ripari per poter sottostare al volere dell’establishment. Durante le presidenziali francesi, per esempio, Facebook ha oscurato 30 mila
profili accusati di diffondere fake news o fare spam, suscitando non poche polemiche. Sempre in Francia, nella conferenza stampa di inizio anno, Macron ha annunciato un progetto di legge per
combattere le fake news e rafforzare il controllo dei contenuti su internet in periodo elettorale.
Nemmeno l’Italia sfugge a queste misure draconiane: da noi il ministero dell’Interno ha attivato un nuovo servizio a disposizione degli utenti per segnalare fake news, che è stato presentato a
Roma alla presenza del ministro dell’Interno Marco Minniti, il capo della Polizia Franco Gabrielli e il direttore del servizio di Polizia postale, Nunzia Ciardi. Una volta ricevute le segnalazioni,
un team dedicato del Cnaipic le verificherà attentamente attraverso l’impiego di tecniche e software specifici e, in caso di accertata infondatezza, pubblicherà una smentita. In che modo si deciderà
quali contenuti sono veri e quali falsi? Fino a che punto si spingerà questo sistema?
L’opinione pubblica sembra passiva di fronte a questi provvedimenti se non addirittura propensa a legittimare l’uso della forza, arrivando persino ad accettare di introdurre il reato di opinione:
una forma di psicoreato orwelliano 2.0 secondo cui verrebbe punita non più l’azione ma la libertà di espressione e ancora prima di pensiero. Non si potrà più pensare “male” (cioè in modo critico e
indipendente dal pensiero unico): i propri pensieri e le proprie emozioni dovranno allinearsi al pensiero comune, globale, globalizzato, politicamente corretto. Sarà semplicemente vietato pensare
fuori dal coro: la mente di tutti noi sarà definitivamente sotto controllo. Apparentemente, per una “buona” causa.
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/ministero-della-censura-caccia-alle-fake-news-vuole-imbavagliare-l-informazione-alternativa
Siamo nel 2034. La bambole meccaniche di Cartier della serie Eva Futura rappresentano l’oggetto più desiderato dai nuovi ricchi della Rivoluzione informatica: sono state costruite per soddisfare
ogni piacere e perversione maschile. Queste robot-schiave, dotate di intelligenza artificiale, hanno però il difetto di infettare, e di conseguenza modificare, il DNA umano: contagiano gli uomini
che, a loro volta, contagiano le mogli facendole diventare “ginoidi”, bambole meccaniche. I figli che nasceranno saranno degli ibridi: l’umanità sembra condannata all’estinzione a meno che non si
riesca a circoscrivere l’epidemia…
È la trama di Virus ginoide (Dead Girls), il romanzo cyberpunk di Richard Calder pubblicato nel 1993. Il racconto è ricco di diversi spunti, dal tema della costante reificazione
femminile (la donna che diventa mero oggetto del piacere maschile) alla sempre più attuale automazione e ibridazione uomo-macchina.
Perché ne parlo? Quando avevo letto una decina d’anni fa non avevo pensato alle possibili implicazioni pratiche del racconto. Devo ricredermi. Dopo aver concordato col direttore di scrivere un
pezzo sulla digisessualità ho intercettato per caso un articolo in inglese il cui titolo in italiano può essere reso come: Uomini e robot possono avere figli creando una nuova specie di
ibridi. Pubblicato sul sito del Daily Star (https://www.dailystar.co.uk/news/latest-news/667906/Human-robot-baby-cyborg-hybrid-species-AI-artificial-intelligence-Dr-David-Levy-love-sex)
espone le ricerche nel campo dell’Intelligenza Artificiale del dr. David Levy, già autore del saggio Love and Sex with Robots, secondo cui nel prossimo futuro sarà possibile “creare” degli
ibridi manipolando il dna umano con cromosomi robot. Il riferimento a Calder è stato immediato.
Levy ritiene inoltre che la legislazione dovrà adattarsi ai mutevoli rapporti con la tecnologia e che i cambiamenti arriveranno più velocemente di quanto possiamo immaginare, auspicando persino il
matrimonio tra uomini e robot: «Man mano che sempre più persone accetteranno il concetto di amore e sesso condiviso con i robot, la società dovrà sviluppare leggi per regolare i rapporti
robot/essere umano. Cadranno le restrizioni, proprio come è successo con il matrimonio interrazziale negli anni ’60 e il matrimonio omosessuale dell’ultimo decennio»
(https://focustech.it/sex-robot-digisexuals-preferiscono-le-bambole-sessuali-personalizzabili-163326).
Non meravigliatevi: è la nuova tendenza. Se non vi eravate ancora abituati al poliamore, eccovi serviti la digisessualità. Chi sono quindi i digisexual? Sono coloro che scelgono
di fare sesso solo con i robot dalle sembianze umane senza quindi avere rapporti con persone “vere”.
Sembra, lo ripeto, un’esagerazione, la trama di un racconto cyberpunk o il plot di qualche serie tv americana, invece le derive post-umane si stanno concretizzando sempre di più,
semplicemente ne siamo all’oscuro. Da Blade Runner a Her, da Ex Machina a Westworld in poi il cinema, le serie tv e la letteratura ci hanno infatti “abituato” a
questo scenario distopico. Solo che immaginare che possa avere un risvolto “reale” è straniante. Invece, le future relazioni tra esseri umani e robot potrebbero avere questo risvolto imprevisto, ma
il cui impatto potrebbe essere significativo quanto quello in altri ambiti (lavorativo per esempio).
Se n’era già parlato infatti in un rapporto pubblicato in Gran Bretagna dalla Fondazione per la Robotica Responsabile. Intitolato Il nostro futuro sessuale con i robot e ripreso anche
dalla rivista «Nature» sul suo sito, il rapporto intende aprire il dibattito sugli scenari che potrebbero presentarsi già nei prossimi 10 o 15 anni in Occidente, alla luce di quanto sta già
accadendo in Asia, con la diffusione di bambole-robot fatte a immagine delle donne e destinate al sesso.
Che cosa sta accadendo soprattutto in Giappone? Ce lo spiega un articolo del 7 luglio scorso de «La Stampa». Secondo le ultime statistiche le complicazioni dei rapporti sentimentali e
sessuali di un numero sempre crescente di giapponesi hanno portato alla crescita della percentuale di vergini quasi quarantenni. Poi, le coppie sposate tra i 35 e i 50 anni hanno pochissimi
amplessi.
Per ovviare ai rapporti umani e alle loro “complicazioni”, spopolano le waifu, mogli virtuali dei nerd che vivono incollati allo schermo. Aumentano anche le storie di mariti che convivono
(spesso in triangolo) assieme ai manichini, mentre le donne in carriera che lavorano dopo aver fatto figli sono condannate dall’opinione pubblica maschilista, spingendo il 70 per cento delle
neo-mamme a non tornare al lavoro.
Nell’immaginario di un numero crescente di maschi le bambole/robot hanno poi l’immagine dell’eroina manga adolescente, maliziosa ma meno aggressiva e impegnativa di qualunque donna adulta “reale”…
questa la dice lunga sull’uomo contemporaneo e sull’apparente emancipazione femminile. Meglio i manichini o i fumetti e a breve i robot che possono soddisfare qualunque desiderio e possono poi essere
spenti con un click come le bambole di Eva Futura di Virus ginoide.
Le ricerche scientifiche che indagano le implicazioni sociali, legali e morali delle relazioni con i robot sono pochissime, secondo la rivista «Nature», perché ritenute volgari e
sensazionalistiche dal mondo accademico. Quindi, mentre in Asia la tecnologia corre e i costumi cambiano, da noi si tende a nascondere la polvere sotto il tappeto e a far finta di nulla, come se il
problema non esistesse.
Come se non bastasse la digisessualità, ecco che con il dr. Levy e colleghi si aprono gli scenari per proporre apertamente l’ibridazione uomo-macchina e la creazione di una genia di ibridi. Non
scandalizzatevi, dovreste avere ormai imparato che qualunque idea, anche la più strampalata, ha una finestra di opportunità per essere discussa e divenire realtà, come insegna la Finestra di Overton.
Ci pensa Hollywood a inondare di messaggi ben calibrati le masse abituandole “per gradi” agli scenari che si vogliono imporre.
Siamo sull’orlo di una nuova trasformazione culturale e antropologica, una vera e propria rivoluzione che intende snaturare l’Uomo della e dalla propria umanità per renderlo una “macchina”, un
automa spersonalizzato, facilmente controllabile e “programmabile”. Sulle ceneri del vecchio mondo in agonia sorgerà un mondo nuovo che offrirà paradisi artificiali in cui rifugiarsi, «pane e
circensi, miracoli e misteri» sempre più virtuali. Quindi non solo sono destinati a sparire i vecchi lavori, i vecchi ruoli, i vecchi “generi”, i vecchi valori, ma lo stesso uomo come lo
conosciamo.
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/lassurda-sessualita-del-futuro-accoppiarsi-coi-robot
«Voi non ve ne accorgete, ma state subendo una programmazione. Ora, però, dovete decidere a quanta della vostra indipendenza intellettuale siete disposti a rinunciare». L’appello proviene
dall’ex vicepresidente di Facebook Chamath Palihapitiya che in un intervento alla Graduate School of Business di Stanford si è scagliato contro i social network, spiegando di sentirsi
«tremendamente in colpa» per aver contribuito a creare degli strumenti che stanno «distruggendo il tessuto sociale» (http://www.universityequipe.com/parole-ex-dirigente-facebook).
L’analisi di Palihapitiya non è nuova né isolata ma è interessante che venga proprio da colui che ha contribuito allo sviluppo di Facebook.
L’analisi di Palihapitiya non è nuova: Evgeny Morozov, per esempio, ha ampiamente spiegato nelle sue opere come Google, Amazon, Facebook, Twitter, ecc. sarebbero soltanto l’incarnazione
di una nuova forma di capitalismo mascherato da rivoluzione digitale e l’ennesima versione dell’accentramento di potere economico e politico nelle mani di pochi.
Lo scrivo e lo ripeto da anni: i poteri che spingono per la globalizzazione stanno abbattendo il vecchio mondo e sulle sue macerie hanno bisogno di “creare” un nuovo cittadino che sia facilmente
malleabile e controllabile. Un cittadino che sia senza identità, che abbia rinunciato alla sua personalità, al suo spirito critico, alla privacy, che sia sempre “connesso”. Un cittadino che sia
capace di abbracciare il progresso e nel suo nome di accettare qualunque provvedimento, abdicando alla sua stessa umanità. Un Uomo che si fa macchina, che sposa il virtuale preferendo paradisi
artificiali alla vita reale fatta anche di dolore, fatica e disperazione.
Per evitare questo scenario distopico, l’entusiasmo per la tecnologia dovrebbe accogliere anche le critiche sulle possibile derive del progresso tecnico, in modo da associare allo sviluppo una
controparte etica che miri al benessere collettivo e non meramente al controllo sociale e al profitto di pochi.
L’analisi di Palihapitiya non è isolata: solo un mese fa anche Sean Parker, cofondatore di Napster ed ex partner di Zuckerberg, si era scagliato in una conferenza a Philadelphia contro i
social network, dichiarando che «sfruttano le vulnerabilità psicologiche delle persone». Parker aveva focalizzato l’attenzione sui possibili danni che potrebbero insorgere dall’uso smodato
dei social da parte dei bambini. Da anni, infatti, si parla delle controindicazioni che la tecnologia può avere sui più piccoli: le ricerche sulla sovraesposizione tecnologica su un cervello in via
di sviluppo parlano infatti di ansia, irritabilità, depressione infantile, disturbi dell’attaccamento, deficit di attenzione, autismo, disturbo bipolare, psicosi e comportamento problematico
(http://www.huffingtonpost.it/cris-rowan/10-motivi-per-cui-i-dispositivi-portatili-dovrebbero-essere-vietati-ai-bambini-al-di-sotto-dei-12-anni_b_9124584.html). Per questo si parla sempre più di
“dipendenza” dai dispositivi portatili come se si trattasse di una vera e propria “droga”: effetti che andrebbero ulteriormente indagati e affrontati. La soglia di attenzione è sempre più bassa e ne
consegue una diminuzione della concentrazione, della memoria e della capacità critica. Siamo bulimici di attenzione, stiamo diventando incapaci di vivere nella realtà quotidiana fatta di persone in
carne e ossa e di rapporti sociali che vadano oltre un like. Gli effetti di questa rivoluzione antropologica li potremo osservare compiutamente solo nei prossimi anni.
Dovremmo anche riflettere sulle nostre responsabilità di adulti: l’abuso tecnologico che le nuove generazioni stanno subendo è una forma di compensazione dovuta alla mancanza di attenzione che
proprio gli adulti avrebbero dovuto donare loro. Si tratta un surrogato che può generare dipendenza e questa a sua volta danni permanenti.
Parker e Palihapitiya sono stati coraggiosi a denunciare due risvolti opachi di quella rivoluzione digitale che hanno contribuito ad avviare: da un lato il rischio di essere manipolati, “schedati”
e programmati, dall’altra gli effetti collaterali di un’esposizione eccessiva tra i più giovani e le ricadute sulla collettività. Lo ripeto: ciò non significa farsi portavoce di un pensiero
oscurantista e reazionario, ma promuovere una nuova visione “etica” che rispetti la persona umana e i rapporti “reali”. Il fatto che lo sviluppo tecnologico sia “inevitabile” non significa che debba
essere abbandonato a se stesso senza una guida e dei limiti: non tutto ciò che è possibile realizzare deve essere per questo realizzato. Possiamo orientare la ricerca in senso etico e
sostenibile.
Stiamo correndo verso una deriva post-umana in cui i rapporti sociali tendono a corrompersi, in cui le persone rischiano di trovarsi “drogate” dall’abuso dei social, dipendenti dai like e dai
commenti degli altri utenti, finendo spersonalizzate e scollate dalla realtà “vera”. I social hanno abbattuto molte barriere, avvicinano ma al contempo allontanano da ciò che è reale, diffondendo
un’idea di perfezione virtuale che soprattutto i più giovani tendono a emulare finendo inevitabilmente sfrustrati.
I social non hanno solo illuso di poter offrire una “community” con un senso irreale e irraggiungibile di perfezione, ma hanno anche portato al costituirsi di un odio “democratico” in cui ognuno
si sente libero e legittimato (in “diritto” quindi) di manifestare il proprio dissenso (o più delle volte acritico e di pancia) arrivando a insultare e minacciare gli altri: da qui il fenomeno degli
haters e del cyber bullismo. È come se non esistesse più un filtro tra il pensiero/emozione e ciò che viene trascritto: in questo caso, però, la “digital warfare” è solo una scusa per arrivare
a censurare il web e le voci alternative, introducendo il reato d’opinione e ulteriore controllo tecnologico. Il problema non è però dei social network in sé, ma nostro: essi sono un mezzo, siamo noi
che abbiamo disatteso la capacità di saperli usare al meglio, dimostrandoci eticamente immaturi per gestire la rivoluzione digitale.
La virtualità ci rende più fragili e soli e rischia di risucchiarci in un vortice fatto di solitudine e sorveglianza: ciò non significa che si debba rinunciare alla tecnologia e votarsi
all’ascetismo, ma dovremmo divenire più consapevoli e responsabili dei mezzi che abbiamo e riappropriarci non solo del senso critico ma anche di quello spirito etico che dovrebbe supportare
l’innovazione. Affinché la tecnologia sia pensata in funzione e per il bene dell’uomo, per non rischiare altrimenti di finire schiavi delle macchine che abbiamo sviluppato.
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/lato-oscuro-della-rivoluzione-digitale-libert-o-schiavit
Non si arresta la battaglia contro le fake news, anzi si moltiplicano le proposte per censurare il web con lo scopo apparente di reprimere la disinformazione. Il problema esiste, ma le soluzioni
proposte sembrano solo un pretesto per censurare la rete, ossia mettere a tacere le voci alternative “scomode”. Al contempo si persiste nel far crescere l’isteria collettiva, strumentalizzando il
problema per legittimare agli occhi dell’opinione pubblica un eventuale provvedimento.
Avete notato, per esempio, come alcuni meme o notizie fasulle che diventano virali sul web sono così grossolani e assurdi da sembrare che siano stati messi in circolazione apposta per inquinare i
pozzi? A chi fanno comodo se non a coloro che poi ne denunceranno l’esistenza, demonizzando il fenomeno? Può esserci a monte una strumentalizzazione del problema o una sua amplificazione? Non sarebbe
una strategia nuova, è stata adottata più volte in passato dagli spin doctors per creare caos e ottenere un risultato specifico.
In un periodo in cui si parla tanto di vaccini, dovremmo imparare a immunizzarci dalle “balle”, sia quelle che ci propinano ogni giorno i media mainstream (vera e propria cassa di risonanza della
propaganda) sia quelle che troviamo sul web. Dovremmo imparare a distinguere almeno una notizia assurda da una “verosimile”. La responsabilità della diffusione di notizie false è infatti anche
nostra. Dovremmo mostrare maggiore attenzione ai contenuti che selezioniamo e rilanciamo in modo compulsivo. Dovremmo cioè riappropriarci del nostro pensiero critico ed essere più cauti e meno
ingenui. Soprattutto meno frettolosi.
Ed è in questo clima di post-verità in cui ormai tutto è sempre più virtuale e il virtuale assurge a reale, che si legittima l’introduzione del reato d’opinione. Se fossimo però tutti più attenti
e coscienziosi, non ce ne sarebbe bisogno. Il problema è che siamo sempre più passivi, e quindi ci facciamo letteralmente “riempire” e plasmare da ciò che ci viene detto, trasmesso,
raccontato, senza sottoporne il contenuto al pensiero critico. Anni di televisione spazzatura ci hanno reso dei soggetti catatonici: siamo soprattutto distratti e attratti da ciò che è morboso e che
si presenta sotto forma di “gossip” o di esagerazione.
Concordo con l’amico Marcello Foa che vede dietro la lotta alle fake news un vero e proprio “metodo” volto a silenziare «le voci davvero libere» (http://blog.ilgiornale.it/foa/2017/11/28/aprite-gli-occhi-sulle-fake-news-sono-solo-un-pretesto-per-imporre-la-censura-ve-lo-dimostro-qui/).
Credo che abbia centrato l’obiettivo. E credo, forse non esagerando, che dietro ci sia un’abile regia che sfrutta una delle regole auree del decalogo che viene impropriamente attribuito a Noam
Chomsky sulla manipolazione della comunicazione. Mi riferisco alla seconda regola: Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema − reazione –
soluzione”: si crea cioè un problema per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desidera far accettare (ma che in realtà
sono state pianificate a monte e calate dall’alto).
Si è lasciato che si diffondessero, magari con un “aiutino” notizie assurde, siti e blog che campano con i click spacciando bufale, per poterle poi strumentalizzare e farne un caso globale. Nel
momento in cui si mostra all’opinione pubblica l’esistenza di un problema, di un’emergenza che va sanata, si propongono delle norme che hanno in realtà lo scopo di introdurre altro, in questo caso il
reato d’opinione con il quale non si vuole colpire la notizia infondata, quanto il dissenso in generale.
Si vuole cioè introdurre un tribunale dell’Inquisizione 2.0 composto da variegati soggetti assurti a “sbufalatori” che usano proprio quel metodo del cyber bullismo che le norme che si vorrebbero
introdurre dovrebbero combattere: costoro da anni perseguitano, dileggiano, insultano, discreditano coloro che portano avanti un lavoro di informazione alternativa.
Infine, le norme non si applicheranno ai giornalisti professionisti e alle testate registrate: una doppia morale valida a difendere la stampa mainstream e l’operato degli spin doctors che dei
contenuti “esagerati e tendenziosi” e degli pseudoeventi hanno costruito il loro impero.
Siamo cioè di fronte a un bipensiero, tanto ipocrita quanto schizoide che riecheggia il motto dei maiali in La fattoria degli animali:
TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI,
MA ALCUNI SONO PIÙ UGUALI DEGLI ALTRI.
Anche in questo caso, alcuni membri della comunità sarebbero “più uguali degli altri” e a loro sarebbe permesso manipolare l’opinione pubblica e in particolare coloro che sono considerati
“semplici spettatori”, ossia quel gregge che va orientato nelle proprie scelte in modo che non si svegli e soprattutto che non esprima il proprio pensiero in modo libero e critico. Lo scopo, citando
ancora Chomsky, è che «il gregge disorientato continui a non orientarsi».
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/fake-news-strana-genesi-dellinquisizione-20
Quando la maggior parte delle persone si imbatte nell’espressione “manipolazione di massa”, o “manipolazione sociale”, la prima immagine che le viene in mente è quella dei mass media che veicolano
idee, suggestioni e contenuti. Di fatto, chi controlla le menti, controlla il potere, esercitando il proprio dominio sulla coscienza. Si deve penetrare cioè nell’immaginario, suggestionando e
orientando l’opinione pubblica, creando un determinato “stato di spirito” a cui ci si uniformerà. Oggi si parla sempre più spesso di pensiero unico perché questa tendenza è divenuta ormai
totalizzante.
Con l’avvento della moderna “società di massa”, infatti, il potere ha dovuto esercitarsi su un numero sempre maggiore di persone: l’arte del controllo, pertanto, ha finito per divenire una vera e
propria “scienza” che non si limita più a esercitare una mera suggestione, ma che riesce e a influenzare comportamenti e modi di essere, a volte senza nemmeno dover fare uso della coercizione
fisica.
Nella società democratica le opinioni, le abitudini e le scelte delle masse vengono cioè indirizzate, come spiegava nel lontano 1928 Edward Bernays – considerato il fondatore delle Pubbliche
Relazioni −, da un «potere invisibile che dirige veramente il Paese». Secondo Bernays la propaganda è fondamentale per “dare forma al caos”. Le tecniche usate dal potere per plasmare l’opinione
pubblica sono state inventate e sviluppate negli anni, spiegava Bernays, «via via che la società diventava più complessa e l’esigenza di un governo invisibile si rivelava sempre più necessaria».
Normalmente si pensa che questo potere sia concentrato nelle mani della televisione, ma quest’immagine è giusta solo parzialmente: la fase del “bombardamento massmediatico” è molto spesso solo
l’ultimo anello di una catena invisibile dietro la quale si nasconde quella che potremmo definire la “fabbrica” della manipolazione vera e propria. Ciò perché i media non fanno altro che rimbalzare
idee e contenuti che hanno già alle spalle una loro fase di elaborazione e che sono state pertanto studiate ed elaborate dai cosiddetti persuasori occulti che stanno ovviamente nelle retrovie.
Come spiegavamo ne La Fabbrica della manipolazione, il primo passaggio della manipolazione di massa, infatti, avviene manipolando i manipolatori: ovvero “creando le élite”
destinate a loro volta a diffondere un certo tipo di messaggio: artisti, scrittori, musicisti, star, opinion makers e persino studiosi e scienziati, i quali, per interesse o per personale
convinzione, inducono con la loro opera uno “stato di spirito” nella masse, cioè un “clima” culturale e spirituale fabbricabile dalle élite attraverso influssi specifici volti a allo creare una certa
“tendenza” nelle masse. Spesso non vi è nessuno scrupolo etico in questo processo (non si intende cioè migliorare la società o orientare l’opinione pubblica per il suo bene), anzi. Alle volte questo
processo è addirittura pagamento. E gli opinion makers diventano dei meri mercenari…
L’interesse a manipolare o a orientare le informazioni che arrivano ai media, pur essendo cosa nota e ben documentata, è un argomento di frontiera, tanto scomodo quanto delicato. Dall’altra alla
gente non piace nemmeno sentirsi dire che è vittima di manipolazione: proverà a ribellarsi, accettando con fatica questa verità. E, rimanendo in terra di confine, in tutto questo processo rientrano
anche i servizi segreti.
Diversi ricercatori hanno mostrato in passato come i servizi segreti, per attuare le loro campagne di disinformazione, si servano di fonti aperte, ossia di giornali, tv e radio. Se una volta i
“profeti” di un certo pensiero, come anticipato, erano gli intellettuali, che in virtù anche del principio di autorità potevano canalizzare e orientare meglio l’opinione pubblica, oggi si parla
sempre più spesso di opinion leader o di influencer e la loro posizione si diffonde anche e soprattutto sul web. Attraverso i social network, inoltre è più facile raggiungere nel più breve tempo
possibile il più alto numero di persone e dall’altra “schedare” gli utenti.
Si tratta di pura speculazione? Un articolo pubblicato il 16 novembre scorso su «Il Sole 24 Ore» a firma di Nicola Borzi, evidentemente passato in sordina sebbene meritasse molto più spazio e
attenzione (http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2017-11-15/la-popolare-vicenza-e-conti-servizi-segreti-212138.shtml?uuid=AEL9ZFCD),
ha svelato la presunta esistenza di molti conti bancari dei servizi segreti – l’Aisi in questo caso – dentro la Banca Popolare di Vicenza. «Ci sono giovani autori e registi di fortunatissimi
programmi di infotainment di tv nazionali private, conduttori di trasmissioni di successo sulla radio pubblica, fumettisti vicini al mondo dei centri sociali». Stiamo citando non una fonte
“alternativa”, ma come ricorda Federico Rucco, «un giornale propriamente padronale, nel senso che il suo azionista di riferimento è Confindustria, ossia l’associazione dei “padroni”» (http://contropiano.org/news/politica-news/2017/11/23/soldi-dei-servizi-segreti-pagare-linfluenza-dei-sui-mass-media-097983).
Si conferma così l’attenzione dei servizi segreti verso soggetti che hanno la capacità di “influenzare” l’opinione pubblica. L’inchiesta del «Sole 24 Ore» non rivela i nomi di questi
influencer, ma la loro funzione e quindi il loro identikit emerge in modo piuttosto esplicito per chi sappia leggere tra le righe.
Nulla di nuovo. Lo storico Aldo Giannuli aveva già trattato ampiamente questa tematica e curato un libro-inchiesta per analizzare con quali tecniche l’intelligence filtra, influenza e interpreta
l’informazione e, dall’altra, in che modo i servizi segreti utilizzano le fonti aperte per ottenere a loro volta informazioni da e su i cittadini.
Se nella piramide del potere decisionale i servizi non sono al vertice, secondo Giannuli «dal punto di vista della gerarchia informativa lo sono. E sanno farsi valere». I servizi si muovono cioè
su un doppio fronte, difensivo e offensivo e nel settore della comunicazione la loro linea guida è «indurre gli altri a fare quello che si vuole che facciano. E cioè che gli avversari facciano il
maggior numero possibile di errori e, possibilmente, si combattano tra loro, che i neutrali scivolino dalla parte del soggetto e gli amici degli avversari se ne distacchino, che gli alleati
sopportino il massimo dei costi della battaglia, ecc.».
Di fatto, non interessa in questa sede conoscere o provare a fare i nomi dei personaggi coinvolti, quanto invitare il lettore a emanciparsi dal pensiero manipolatorio di massa, comprendendo come
il pensiero unico non sia una forma di progresso quanto semmai una sofisticata forma di manipolazione volta a orientare le masse a pensare, desiderare e fare ciò che il potere ha in serbo per loro.
Parafrasando Aldous Huxley, il potere vuole che i cittadini diano fastidio il meno possibile e per farlo, essendo considerati alla stregua di individui minorenni che vanno educati e orientati, è
necessario esercitare la manipolazione, la sorveglianza e il controllo.
Esiste uno schema semplice, persino banale, che viene reiterato di continuo dietro i meccanismi della manipolazione sociale. Imparare a conoscere tali meccanismi può aiutare a riconoscerli e a
vaccinarsi da essi…
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/che-cosa-si-nasconde-dietro-agli-influencer
Dietro ai fatti di cronaca, sportivi e di puro intrattenimento che dominano i Media e la TV in queste settimane, si affacciano le tematiche che da sempre ossessionano l’uomo: sesso, soldi, sport e
violenza. Echeggiano così due regole del celebre decalogo sulla manipolazione sociale, impropriamente attribuito a Noam Chomsky: mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità e stimolare il
pubblico a essere compiacente con la mediocrità.
Dietro alla cornice del puro intrattenimento, si trasmette infatti alle nuove generazioni un modello basato sull’ignoranza e la mediocrità. Lo spettacolo, sempre più trash, funge anche da faro
morale, estetico ed etico soprattutto per i più giovani. Chi “lavora” e vive di spettacolo, diviene un’icona e un modello da seguire, modificando pertanto gli usi e costumi della società (dal
linguaggio alla chirurgia estetica). Vediamo in che senso.
La prima regola insegna come fare in modo che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie e i metodi usati per il suo controllo. La qualità dell’educazione data alle classi sociali
inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile. La demonizzazione della cultura comporta un appiattimento di essa sui meri interessi promossi dalla società materiale.
Dopo aver livellato le classi sociali e aver garantito a tutti l’accesso allo studio, la cultura è stata svuotata progressivamente dall’interno con un’azione criminale tesa a rendere ignoranti gli
studenti e incapaci di pensiero critico i futuri soggetti della società civile. Ciò che infatti dovrebbe essere alimentato – lo spirito critico e l’immaginazione – viene abbattuto fin dalla nascita
in modo da creare cervelli in serie che si adeguino al consenso popolare. Anche il rifiuto o il senso di rivolta divengono puramente ideologici e riportati all’interno del pluralismo del sistema
seguendo il metodo del Divide et Impera. Le zone di disturbo vengono isolate o distrutte e gli elementi di rottura posti sotto controllo.
Privilegiando la mediocrità si scoraggiano le nuove generazioni a investire sulla cultura e a perseguire i propri sogni. Ciò ovviamente non basta e subentra lo “spettacolo”, anch’esso sempre più
svuotato, volgare e mediocre che offre come modelli coloro che ce l’hanno fatta: personaggi sempre più gretti, ignoranti, disinibiti, senza competenze.
Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti ha come riscontro il fiorire di libri, film, musica e programmi televisivi spazzatura. I reality show, la TV
generalista e l’imposizione di modelli sempre più triviali, soprattutto tra i più giovani, servono ad appiattire l’opinione pubblica su canoni estetici e culturali gretti, rendendoli di fatto un
modello da ammirare e imitare. Un esempio sono i format di alcuni reality angloamericani − che sono stati poi copiati o trasmessi in tutto l’Occidente – in cui giovanissimi bevono, si sballano,
vomitano, litigano prendendosi a botte e fanno sesso con sconosciuti. Costoro diventano gli idoli dei ragazzini che finiscono per imitarli, prendendoli a modello, seguendo persino i loro consigli che
elargiscono nelle dirette sui social, dai salotti televisivi o nei libri che prontamente scrivono una volta concluso il reality di turno. Viene inoltre proposto il modello di bulimia sessuale e di
immaturità sentimentale cronica in cui si sono ormai immedesimati anche gli adulti: ciò spinge tutti, indipendentemente dall’età, a pensare e ad agire come degli eterni adolescenti. E gli adolescenti
sono ovviamente più facilmente “manovrabili”.
La saturazione illimitata del piacere ha dato vita a un nuovo essere umano, un adolescente perenne che segue esclusivamente la bussola delle proprie emozioni usando sempre meno la propria
coscienza critica ed eludendo il ragionamento. Finisce così per credere a ciò che preferisce e gli piace, a ciò che “risuona” meglio, a chi lo convince perché riesce a far leva sulle sue emozioni, a
chi lo rassicura ripetendo fino allo sfinimento lo stesso slogan. Vive di empatia e si adagia sui mantra del buonismo e del politicamente corretto che lo rasserena.
Il potere non è interessato a “emancipare” l’uomo o a renderlo “adulto” quanto semmai a controllarlo sempre meglio, indirizzando le sue scelte dopo essere penetrati nella sua anima, nel suo
immaginario, anche attraverso lo spettacolo.
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/media-mezzo-distupidimento-di-massa-del-potere
In una conferenza tenutasi a Madrid nel 2005, il filosofo Jean Baudrillard notava come tutto debba essere visto e visibile e ciò che questo meccanismo comporta: «È qui, nel momento in cui tutto è
mostrato, che ci si rende conto che non c’è più nulla da vedere», in cui la violenza dell’immagine «consiste nel far sparire il Reale». Si tratta secondo Baudrillard dello “spettacolo della banalità”
in cui è l’uomo stesso che si fa immagine esponendo la propria vita quotidiana alla lente del pubblico e divenendo pertanto a “una dimensione”. Il Reale si converte in immagine e questo processo
porta alla sua scomparsa in quanto «Facendo apparire la realtà, anche la più violenta, all’immaginazione, essa ne dissolve la sostanza reale». Il mondo reale, cioè, «si converte in una funzione
inutile, un insieme di forme ed eventi fantasma».
La lezione di Baudrillard torna utile per osservare alcuni aspetti del nostro quotidiano. In questi giorni le scene mediatiche sono dominate dallo “spettacolo” e da eventi a esso connessi: dal
caso Weinstein, agli amori, i litigi e le scene di sesso al Grande Fratello VIP. Domina i voyeurismo e la sete di dettagli morbosi. E nell’epoca della post-verità, conta poco il reale, quando la sua
interpretazione mediata dalle immagini.
Dalla pubblicazione di 1984 a oggi, l’espressione “Grande Fratello” viene utilizzata per indicare un tipo di controllo invasivo da parte delle autorità, uno stato di polizia totale o
l’aumento tecnologico della sorveglianza. Per ironia del destino, la televisione ha reso altrettanto celebre l’espressione usandola per battezzare l’omonimo reality show che ha rivoluzionato
l’estetica e il modo di fare TV. Nel format “Grande Fratello” persone sconosciute (o celebri nella versione VIP) accettano di farsi rinchiudere in un appartamento sotto il controllo costante
delle telecamere in modo che il voyeurismo del pubblico possa cibarsi costantemente delle immagini della vita quotidiana di costoro. Non c’è più nulla di “rubato”, le telecamere non sono nascoste ma
finiscono per essere “dimenticate” dagli inquilini della casa e la loro esistenza viene ripresa costantemente dall’occhio del Grande Fratello.
Nella società postmoderna assistiamo a code di migliaia di persone in fila per fare i provini per farsi rinchiudere in una gabbia di vetro (la “Casa”) e farsi riprendere 24 ore su 24. Lo
spettacolo ha cioè svuotato di significato la lezione orwelliana per consegnare alle nuove generazioni il sogno di poter essere controllati anche nella propria intimità. Non solo: costoro si
sottopongono, come vittime sacrificali, a processi mediatici dai risvolti sociali tesi a inculcare nell’opinione pubblica nuovi costumi e a biasimarne altri.
Laddove era descritto come un incubo totalitario, oggi il controllo è visto come un’occasione per mettersi in mostra e diventare “famosi”. Siamo noi a offrire continue immagini e informazioni sui
social network pur di apparire e mostrare ogni aspetto della nostra vita (seppure il più delle volte contraffatta, irreale). La privacy è abolita e la sorveglianza desiderata.
I 15 minuti di celebrità di warholiana memoria sono finiti per dilatarsi in una spettacolarizzazione globale della vita quotidiana in cui la realtà viene fagocitata dalle immagini. È lo spettacolo
che cannibalizza il reale.
Nel format televisivo avviene un ribaltamento di piani rispetto all’espressione da cui trae il proprio nome: è il pubblico stesso a divenire giudice e quindi Grande Fratello. In questa fase lo
spettatore entra nello schermo, nell’immagine, nel virtuale senza filtri e senza ostacoli. L’eccessiva prossimità all’evento genera però, spiegava già Baudrillard, «indecibilità, una virtualità
dell’evento che lo spoglia della sua dimensione storica e lo sottrae alla memoria», cosa che avveniva anche in 1984 ma grazie a un’opera capillare di falsificazione della storia e di livellamento su
un eterno presente.
Video, internet e la realtà virtuale hanno infatti abolito ogni distanza, annullando di fatto ogni tipo di polarità, dando vita gradualmente a fenomeni, movimenti, ideologie che sarebbero stati
impensabili fino a qualche anno fa o sarebbero rimasti relegati a gruppi di nicchia: l’abolizione della distanza tra i sessi e i poli opposti ha portato alla vittoria del gender, quella tra
protagonisti e azione e tra soggetto e oggetto a una virtualità e relativizzazione dell’informazione. Siamo cioè nell’epoca dell’indistinto in cui l’indifferenziazione conduce a una perdita di senso
e quindi di valore.
Questa confusione, osservava già Baudrillard, «fa sì che i giudizi di valore non siano più possibili: né sul terreno dell’arte, né su quello della morale, né su quello della politica. A causa
dell’abolizione della distanza, del pathos della distanza, tutto diventa indicidibile».
La violenza dell’immagine scardina anche il linguaggio che perde la sua originalità: si parla in continuazione, comunicando instancabilmente il nulla. Il linguaggio viene anche volutamente
svuotato e “riscritto” dai burocrati del politicamente corretto, seguendo i diktat della neolingua orwelliana. Il tutto viene poi dato in pasto ai Media, offrendo, dietro la cornice dello spettacolo,
lo scardinamento e la graduale ri-scrizione della nostra società.
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/telecomandati-distanza-ecco-come-veniamo-plagiati
Dopo i Panama Papers, i nomi emersi con la nuova inchiesta internazionale ribattezzata “Paradise Papers” si rincorrono ogni giorno, scuotono l’opinione pubblica e fanno tremare i potenti. Lo
scandalo, che oggi consuma le prime pagine dei quotidiani, non modificherà però di una virgola l’attuale sistema finanziario e gli equilibri globali.
Per comprenderlo, ci viene in aiuto il “Billionaires Report” il rapporto annuale della banca privata Ubs e della società di consulenze finanziarie PcW, secondo cui nel mondo esistono 1542
miliardari, la cui ricchezza vale il doppio del Pil del Regno Unito (si veda: http://www.repubblica.it/economia/2017/10/29/news/rapporto_ubs_miliardari-179494000/). Insomma, emerge uno
spaccato sconvolgente che dovrebbe far riflettere e far correre ai ripari: sempre più ricchi e sempre più poveri. Un futuro distopico che vede convergere il capitale finanziario nelle tasche di pochi
super-ricchi, delineando una diseguaglianza di cui non si possono prevedere risvolti e possibili reazioni “avverse”.
Questi due esempi dimostrano come si stia realizzando, sotto il nostro stesso naso, il sogno delle élite mondialiste: dividere la società in due livelli, da una parte il potere economico detenuto
da una ristretta cerchia tecnofinanziaria, dall’altra la “massa” indistinta di individui sempre più poveri, soli, senza legami, diritti e senza radici, facili quindi da sfruttare e controllare per il
governo globale che si sta costruendo.
Si tratta del sogno condiviso anche da quel genere di gruppi di studio (think tank) non governativi come la Commissione Trilaterale o il Club Bilderberg.
Che cosa c’entrano con i paradisi off-shore e la progressiva divisione del mondo in due macro caste? C’entrano, eccome. Questi “pensatoi”, composti dai più ricchi e influenti del pianeta che si
incontrano a porte chiuse, sono il riflesso di un pensiero che come una piovra ha esteso i suoi tentacoli sull’Occidente (e non solo).
Fondata nel 1973 per iniziativa del defunto David Rockefeller e di altri dirigenti e notabili, tra cui Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, la Commissione Trilaterale conta più di trecento
membri tra uomini d’affari, politici e intellettuali provenienti da tre zone del mondo: Europa, Giappone e America settentrionale (da cui il nome “Tri-laterale”). A tutt’oggi le riunioni sono dei
vertici a porte chiuse di alto profilo.
Lo spunto per fondare la Commissione venne a Rockefeller dopo aver letto nel 1970 il saggio di Brzezinski Tra le due epoche: il ruolo dell’America nell’era tecnologica. L’opera gli
permise di mettere a fuoco un obiettivo: la gente, come i governi dei diversi Paesi, avrebbe dovuto sottostare agli interessi delle banche internazionali e delle multinazionali. Uno degli intenti
primari sarebbe stato pertanto quello di limitare la sovranità nazionale dei vari Paesi: ciò era evidente se si volevano porre le basi per la creazione di un governo unico, un potere economico
mondiale superiore a quello politico delle singole nazioni. Un Impero, insomma. Sarebbero state ovviamente necessarie delle “crisi” per convincere i singoli Paesi a rinunciare progressivamente alla
propria sovranità nazionale…
Per comprendere lo spirito della Trilaterale, ricordiamo il documento commissionato dalla stessa nel 1974, La Crisi della democrazia di Samuel Huntington, Michel J. Crozier e Joji
Watanuki, in cui si evidenziava una crisi contemporanea delle democrazie da risolvere con l’introduzione di tecnocrazie.
Nulla di strano dunque se, come ha illustrato da Naomi Klein nel suo Shock Economy, le riforme liberiste sarebbero applicabili solo per mezzo di shock violenti che pieghino la volontà
dell’opinione pubblica ad accettare delle riforme che normalmente non verrebbero accolte. Paragonando le teorie neoliberiste alla “tortura” vera e propria, Klein nota che: «Dal Cile alla Cina
all'Iraq, la tortura è stata un partner silenzioso nella rivoluzione liberista globale. La tortura, però, è ben più che uno strumento utile per imporre politiche indesiderate a chi si ribella: è
anche una metafora della logica alla base della dottrina dello shock».
Quello che i membri della Trilateral e del Bilderberg vogliono, è creare un potere economico mondiale superiore a quello politico dei singoli governi nazionali e, in qualità di organizzatori e
gestori di questo potere, sognano di governare il futuro del mondo (prendendo decisioni a porte chiuse). L’erosione della democrazia avviene svuotando progressivamente da un lato le nazioni del
proprio potere e della propria sovranità, dall’altro facendo diventare tutti noi dei soggetti passivi, dei meri consumatori.
Per far questo ci vuole ovviamente il “braccio armato” dei mass media che agisca da cassa di risonanza delle loro decisioni come se queste accadessero poi “per caso” e in maniera democratica.
Come? Distraendo l’opinione pubblica e offrendo agli spettatori “pane e circensi, miracoli e misteri”, canalizzando cioè l’immaginazione delle masse verso distrazioni che allontanino le
coscienze da possibili proteste, rendendoci meri spettatori della cosiddetta “società dello spettacolo”, citando il regista e filosofo Guy Debord.
Sì, perché anziché festeggiare, i super ricchi sono preoccupati. Josef Stadler, autore del già citato rapporto della Ubs, ha infatti spiegato che molti suoi clienti “temono” le conseguenze sociali
e politiche di una concentrazione di ricchezza senza eguali dal 1905 a oggi. Fuori dai denti: i ricchi hanno paura che possano verificarsi moti violenti da parte di coloro che non hanno più nulla da
perdere.
Eppure, per ora, le uniche sommosse e rivoluzioni a cui abbiamo assistito negli ultimi anni sono quelle pilotate o infiltrate da organizzazioni filogovernative capeggiate da filantropi e attivisti
multimilionari. Egregiamente eterodirette. I ricchi hanno paura e la massa, che avrebbe il potere di cambiare le cose, va tenuta a bada, distratta, manipolata: la “tortura” non deve essere sfacciata,
ma somministrata a piccole dosi costanti in modo da divenire “abituale”.
«Ahimè, ci siamo scordata la sorte del tacchino – si lamentava ironicamente Huxley − Date all’uomo pane abbondante e regolare tre volte al giorno, e in parecchi casi egli sarà contentissimo di
vivere di pane solo, o almeno di solo pane e circensi».
Il nostro destino ricalca quello della rana bollita di Noam Chomsky: abbiamo le zampe intorpidite e la mente assuefatta per spiccare un balzo e fuggire dal pentolone di acqua bollente… siamo
talmente passivi e scoraggiati da non renderci conto che non ci viene neppure data la razione destinata al tacchino.
Siamo tenuti in ostaggio ma abbiamo sviluppato una specie di sindrome di Stoccolma arrivando fino alla totale sottomissione volontaria nei confronti dei nostri carnefici: i
super ricchi ci affamano e affamano il nostro pianeta e noi, zitti, continuiamo, distratti, a osservare la nostra sventura.
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/due-mondi-di-ricchi-e-poveri-approdo-programmato
Sempre più spesso i media non mancano di offrirci notizie in apparenza stravaganti che stanno gradualmente, secondo il principio della Rana bollita di Noam Chomsky, abituando l’opinione pubblica
ad accettare come “normali” costumi culturali e antropologici “nuovi”. Non ci si deve più stupire se tre uomini si sposano o se una donna convola a nozze con sé stessa. Dietro i nuovi costumi, ci
viene detto, si può osservare il faro dell’evoluzione e del progresso: l’emancipazione dell’uomo che sceglie chi essere (a partire dalla propria identità sessuale) e come vivere (poliamore,
poligenitorialità, ecc.).
Il tema della trasgressione, della licenziosità e dell’obbligo a godere di piacere illimitato a cui siamo ormai sottoposti quotidianamente, è uno dei nuclei centrali della manipolazione “dolce”
come perfettamente spiegato da Aldous Huxley in Il mondo nuovo.
Oggi dobbiamo convenire sul fatto che si sta attuando quanto immaginato nel 1932 dal saggista e romanziere inglese: il potere incentiva il sesso libero e promiscuo disgiunto dal matrimonio e con
esso il superamento della famiglia tradizionale. Ma non solo, perché l’orizzonte futuro ci prospetta anche nuovi rapporti sentimentali quali il poliamore ma soprattutto la procreazione disgiunta
dall’atto sessuale: su questo Huxley è stato incredibilmente profetico arrivando a immaginare la nascita delle future generazioni in uteri artificiali (per approfondimenti rimando ai nostri
precedenti saggi Utero in affitto e ne Il mito dell’immortalità).
A differenza che in 1984 di Orwell, il governo globale in Huxley non ha più bisogno della coercizione fisica per imporre il suo potere ai cittadini: tutta la vita, infatti, è ormai
programmata scientificamente fin da prima della nascita, essendo la riproduzione disgiunta dall’atto sessuale ed effettuata, come diremmo oggi, in vitro, permettendo l’esistenza
solo a individui sani i quali, sono stati “forgiati” in embrione per far parte di differenti “caste” e condizionati fin dalla più tenera età attraverso sofisticate tecniche di autentico lavaggio del
cervello.
Gli abitanti del Mondo nuovo sono svuotati dal desiderio di ribellione in quanto prigionieri di una gabbia dorata le cui sbarre sono fatte proprio di piacere! Nel Mondo nuovo,
infatti, le attività dilettevoli più elementari sono incessanti e la promiscuità sessuale è vista quasi come un dovere sociale a tutte le età: dai “giochi sessuali” dei preadolescenti al continuo
scambio di partner fra adulti. Un rapporto affettivo stabile, infatti, dopo l’abolizione della famiglia – sul modello “comunitario” della Repubblica di Platone − sarebbe
visto addirittura come un elemento socialmente pericoloso per il sistema.
Nel suo Ritorno al mondo nuovo, scritto nel 1958, Huxley ritornerà su questo aspetto precisando: «Primo scopo dei governanti è impedire ad ogni costo che i soggetti diano fastidio.
Per far questo essi, fra le altre cose, legalizzano una certa misura di libertà sessuale (possibile dopo l’abolizione della famiglia) che in pratica salvaguardi tutti i cittadini del mondo nuovo da
ogni forma di tensione emotiva (o creativa)».
Lo scontro mondiale tra sistemi e culture diversi sotto i colpi della globalizzazione (delle merci e delle menti) avviene principalmente su un piano simbolico in quanto si tratta, secondo il
filosofo francese Jean Baudrillard in L’agonia del potere, di «un annichilimento fisico e mentale, una carnevalizzazione universale che l’Occidente impone […] a tutte le singolarità che gli
resistono».
La modernità ha assunto il carattere anche goliardico delle feste carnevalesche, in cui il riso, i giochi e la sovversione dei ruoli prevalgono per alcune ore o giorni come una “sospensione” delle
regole tradizionali: domina l’elemento parodistico e addirittura sacrilego, il carattere licenzioso e il tema della sovversione temporanea, come ampiamente spiegato dall’esoterista francese René
Guénon e prima ancora dall’antropologo James Frazer nel suo Il ramo d’oro. La materializzazione o l’uscita alla luce del sole delle “maschere”, rappresenta per Guénon «una parodia del
“rovesciamento” che […] si produce a un certo grado dello sviluppo iniziatico: parodia, diciamo, e contraffazione veramente “satanica”, perché qui il “rovesciamento” è un’esteriorizzazione, non più
della spiritualità, ma, all’opposto, delle possibilità inferiori dell’essere».
La postmodernità è andata oltre assorbendo gli antichi culti e rendendoli di fatto “quotidiani”. Questo genere di ribaltamento, o meglio di “annullamento della distanza” di cui parlava già
Baudrillard, servirebbe quindi per canalizzare le pulsioni più basse del volgo ed evitare che esse esplodano in una qualche forma di disordine generalizzato. Se una volta queste pulsioni erano
relegate a feste cicliche dai connotati carnevaleschi, oggi stanno progressivamente dando vita a una forma di “carnevale perpetuo” in cui diventa lecito tutto ciò che è licenzioso e dai connotati
grotteschi e parossistici.
La modernità è diventata la parodia di tutto ciò che era “tradizione” con una sovversione dei ruoli che si sono imposti alla società come forma apparente e illusoria di libertà ed
emancipazione.
DA INTERESSE NAZIONALE:
https://www.interessenazionale.net/blog/ecco-come-lassurdo-riesce-diventare-normale